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giovedì 8 aprile 2010

Il problema della sofferenza

Anche durante la guerra, Lewis scrisse molte poesie che esprimevano un’idea di Dio come malvagio, o che dicevano che il bene è ormai morto. Ma dopo la sua conversione, avvenuta nel 1931, Dio e il bene divennero di nuovo due concetti assimilabili ed ineludibili.

L’editore Mr. Ashely Sampson, colpito dalla profondità di pensiero di Lewis espresso in The pilgrim’s regress (1933) e in Out of the silent planet (1938), pensò che egli fosse l’autore giusto per scrivere un libro sul tema della sofferenza da collocare nella sua collana dal titolo “Christian challenge”. Lewis, non si sentì mai all’altezza del compito, tuttavia, nel 1940, è pubblicato il testo Il problema della sofferenza (titolo originale The problem of pain).

Ecco di seguito alcune delle idee che egli esprime nel libro. Secondo Lewis, nel nostro mondo, governato dal libero arbitrio, Dio non può abusare di esso col ricorso eccessivo a miracoli della sua onnipotenza. La nostra stessa libertà richiede che questi siano casi assolutamente rari e coerenti con l’intrinseca possibilità degli eventi, altrimenti Dio finirebbe per infrangere continuamente le regole dell’universo che Egli stesso ha creato.

L’amore di Dio per noi va certamente al di là di ogni comprensione. Spesso Egli vuole darci ciò di cui abbiamo veramente bisogno, noi invece pretendiamo ciò che pensiamo di volere.

La sofferenza è il megafono che Dio usa per svegliare un mondo sordo; ci toglie l’illusione che ciò che siamo o che abbiamo sia di nostra proprietà e sufficiente per noi. Il dolore non è buono in sé, ma rimesso nella volontà di Dio, esso lo diventa.

Anche qui egli risponde alla possibilità della gioia in paradiso con la consapevolezza che qualcuno è all’inferno, questione affrontata in Il grande divorzio, come già visto. Lewis qui afferma che le porte dell’inferno sono chiuse dall’interno: il paradiso quindi adora la volontà di Dio che rispetta la libertà delle anime perfino quando decidono di rinunciare alla gioia. L’inferno, in definitiva, è l’estremo atto di rispetto di Dio per l’uomo: egli non può costringere nessuno a stare con Lui.

A proposito della sofferenza degli animali, Lewis dice che noi non sappiamo cosa esattamente essi soffrano, né come il dolore sia entrato a far parte della loro natura. Ora, l’uomo è deputato da Dio al dominio degli animali e per questo, dice Lewis, sarebbe ipotizzabile che essi abbiano una certa immortalità in relazione ai loro padroni.

Infine, l’autore presenta come prospettiva ultima di qualsiasi sofferenza il paradiso stesso. Il nostro esistere è stato concepito in vista di un posto creato su misura, esclusivamente per noi. Un paradiso dove capiremo, con San Paolo, che le sofferenze della terra non erano affatto paragonabili alla gloria che lì si manifesterà pienamente in noi.
Nonostante la paura che Lewis aveva di pubblicare questo libro a suo nome, esso è stato apprezzato e gustato da tutti i critici del tempo. Un autore laico che, tuttavia, mostra di avere una conoscenza approfondita dei contenuti teologici e che si mostra perfettamente in linea con l’insegnamento della fede cattolica.